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ALLA RICERCA

Viviamo in un mondo molto più vasto di quello che possiamo percepire. Ci circondano almeno 11 dimensioni, ma possiamo coglierne solo 4 (le tre spaziali e il tempo).

La struttura stessa del nostro essere appare costituita da elementi che si muovono in 11 dimensioni, sarebbe riduttivo e ottuso credere che la nostra esistenza sia solo quella percepibile in quel ristretto lampo spazio-temporale che definiamo "la nostra vita".


Ultima revisione: 28 dicembre 2023

LA PRATICA

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<body> <FONT COLOR="#dc143c"> Per tornare alla pagina principale:&nbsp;&nbsp <A HREF="http://www.rdlab.it" target="_top">CLICCA QUI</A> &nbsp;&nbsp; Per altre informazioni spedisci un mail a: <A HREF="mailto:info@rdlab.it">info@rdlab.it</A> </FONT> <BR> <BR> <B><FONT SIZE=5> <CENTER>PROVE MECCANICHE</CENTER> </FONT></B> <BR> Le prove di tipo meccanico servono in generale a descrivere il comportamento di un materiale sottoposto a deformazione.<BR> Una prima distinzione va fatta tra le prove a deformazione 'lenta' (creep, trazione, flessione, etc.) e le prove a deformazione 'veloce' (urto, rotture, etc.)<BR> Una seconda distinzione possiamo farla tra le prove di tipo 'universale' (pensiamo ad un dinamometro in trazione) e le prove specifiche (per esempio ad un apparecchio specifico per la misura della resistenza delle suole delle scarpe). <BR> In generale dobbiamo essere noi a decidere di cosa abbiamo bisogno. <BR> Nota di carattere generale: per avere dei numeri su cui discutere e con cui confrontarsi una notevole attenzione deve essere riposta in ogni caso nella preparazione dei provini. Questo aspetto riveste dal 50% al 99% dell'importanza della prova ed è spesso sottovalutato. <BR> <BR> <FONT SIZE=4> <U><B>Prove di trazione, compressione, flessione</U></B> </FONT> <BR> <BR> <I><B>Preparazione e condizionamento dei provini</I></B> <BR> <BR> Esistono numerose normative a riguardo; in generale si distinguono due casi: provini fustellabili (plastificati, spessori bassi, etc.) e provini che devono essere intagliati con una fresa. La modalità di preparazione del provino varia da materiale a materiale, e in generale viene eseguita con una pressa verticale e stampi adeguati. L'esperienza è tutto in questa fase. I provini DEVONO essere condizionati almeno 24 ore in condizioni standard prima della prova. <BR> <BR> <I><B>Apparecchiatura</I></B> <BR> <BR> In questo caso abbiamo bisogno di un dinamometro adeguato alle nostre esigenze di misura. Un dinamometro è costituito almeno da: <BR> <BR> 1) un telaio che deve essere sovradimensionato rispetto alle nostre esigenze <BR> 2) una cella di carico che misura le forze di dimensione e precisione adeguate <BR> 3) una misura della deformazione (direttamente sul telaio o, molto meglio, mediante estensometri sul provino) <BR> 4) un sistema di elaborazione del dato (PC) <BR> e, anche se sembra banale: 5)un micrometro per la misura degli spessori dei provini <BR> A questa base si possono aggiungere altri accessori (per prove in flessione, per misure a diverse temperature, per prove di compressione, diverse celle di carico, etc.) <BR> <BR> <I><B>Misura</I></B> <BR> <BR> <PRE> Cosa si misura: Modulo elastico Sforzo a snervamento Allungamento a snervamento Sforzo a rottura Allungamento a rottura ....... </PRE> La misura DEVE essere seguita per accorgersi di tutto quello che succede. Anche un provino rotto può essere fonte di ottime informazioni. <BR> Un buon stereomicroscopio può essere di notevole aiuto. <BR> <BR> <FONT SIZE=4> <U><B>Prove di creep</U></B> </FONT> <BR> <BR> Non spendiamo troppe parole per queste prove perchè, in generale, bisogna essere abbastanza specialisti prima di pensare ad una prova di creep.<BR> A volte serve misurare la deformazione di un materiale sottoposto ad uno sforzo per tempi lunghi o lunghissimi: le prove di creep vanno in questa direzione. <BR> Sono tuttavia prove molto lunghe, anche anni, e quindi molto costose e richiedono una certezza assoluta delle variabili in gioco: una prova di trazione si può ripetere se qualcosa non va, ripetere una prova di creep può voler dire un ritardo di mesi o anni e quindi l'inutilità della prova. <BR> <BR> <I><B>Preparazione e condizionamento dei provini</I></B> <BR> <BR> FONDAMENTALI per una prova di creep. Valgono le stesse considerazioni per le prove di trazione ed in più il fatto che in generale NON POSSIAMO SBAGLIARE a causa della durata delle prove. <BR> <BR> <I><B>Apparecchiature</I></B> <BR> <BR> Ci sono apparecchiature specifiche per il creep. In generale è fondamentale il condizionamento in temperatura e umidità dell'apparecchiatura; dobbiamo essere stra-sicuri che la temperatura e l'umidità vengano mantenute costanti per tutta la durata della prova (ripetiamo, anche anni!). <BR> <BR> <I><B>Misure</I></B> <BR> <BR> In generale i provini sono sottoposti ad uno sforzo costante nel tempo (pensiamo ad un peso che tira un provino) Quello che si misura è la deformazione in funzione del tempo. Da queste misure si traggono numerose informazioni sulle caratteristiche del materiale. <BR> <BR> <FONT SIZE=4> <U><B>Prove di urto</U></B> </FONT> <BR> <BR> Il nome dice tutto. In questo caso vogliamo capire come si comporta il materiale quando è sottoposto ad uno sforzo improvviso per un tempo limitatissimo (di solito qualche millisecondo): siamo quindi esattamente all'opposto delle prove di creep. <BR> Le normative in questo campo la fanno da padrone. <BR> <BR> <I><B>Preparazione e condizionamento dei provini</I></B> <BR> <BR> Oltre agli stessi accorgimenti necessari già descritti per le prove di trazione, uno degli aspetti fondamentali è L'INTAGLIO del provino, dove necessario. La cura per questa operazione deve essere massima. Anche in questo caso uno stereomicroscopio è quasi necessario. Anche se l'intaglio non deve essere effettuato, la cura della forma e del contorno del provino è fondamentale prima di eseguire la pova. Altrettanto fondamentale è il condizionamento dei provini. <BR> <BR> <I><B>Apparecchiature</I></B> <BR> <BR> Le apparecchiature sono diverse a secondo delle necessità:<BR> - trazione per urto con pendolo<BR> - pendolo 'Charpy'<BR> - pendolo 'Izod'<BR> - dardo ad impatto<BR> - prove specifiche<BR> <BR> In generale è bene uniformarsi alle indicazioni delle normative per il materiale in oggetto. <BR> <BR> <I><B>Misure</I></B> <BR> <BR> In generale si colpisce il provino con una determinata energia, si misura l'energia assorbita dal provino e si analizza il provino colpito, che può rompersi completamente o deformarsi semplicemente.<BR> Spesso per queste prove si sente il termine 'resilienza', a volte utilizzato impropriamente. L'analisi del provino dopo essere stato sottoposto a prova può dare utili indicazioni sul tipo di rottura e sulla propagazione della frattura.<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <U><B>Prove di abrasione</U></B> </FONT> <BR> <BR> La resistenza all'abrasione è un fenomeno complesso che riguarda essenzialmente le proprietà superficiali del materiale; a causa di questa complessità le prove hanno spesso valore comparativo, difficilmente assoluto. Esistono tuttavia apparecchiature che rispondono a determinate normative che consentono di ottenere valori sufficientemente riproducibili del dato. <BR> <BR> <I><B>Preparazione e condizionamento dei provini</I></B> <BR> <BR> Come per tutte le prove meccaniche, questa fase è fondamentale. In particolare per l'abrasione una cura estrema deve essere riposta sull'aspetto superficiale dei provini. <BR> <BR> <I><B>Apparecchiature</I></B> <BR> <BR> Come ricordato sopra, esistono apparecchiature che rispondono a normative internazionali, in particolare caratterizzate dal fatto che l'elemento abrasivo deve avere sempre la stessa efficacia.<BR> Esistono macchine con provini che ruotano e vengono abrasi da una mola calibrata e macchine con l'elemento abrasivo che effettua cicli di abrasione sul provino. <BR> <BR> <I><B>Misure</I></B> <BR> <BR> In generale viene misurata la perdita in peso del provino sottoposto alla prova per un tempo determinato. Eventualmente si può analizzare al microscopio l'aspetto superficiale del provino dopo l'abrasione.<BR> Non esistono campioni standard, le condizioni da preferire sono:<BR> a) elemento abrasivo continuamente sostituito e che opera con cicli sempre uguali<BR> b) controllo periodico delle capacità abrasive con un materiale conosciuto e con provini preparati in maniera identica.<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <U><B>Prove di fatica</U></B> </FONT> <BR> <BR> <I><B>Preparazione e condizionamento dei provini</I></B> <BR> <BR> Le prove di fatica sono numerose e specifiche per ogni applicazione. Considerato il fatto che spesso hanno durata piuttosto elevata (anche settimane), valgono le solite considerazioni sulla preparazione e sul condizionamento dei provini, aggravate dal fatto che, se tale fase viene sottovalutata, non avremo modo di capirlo e butteremo all'aria molte settimane di lavoro nostro e dell'apparecchiatura.<BR> Se possibile, è meglio caratterizzare meccanicamente, ad esempio mediante prove di trazione o di urto, alcuni provini di una serie prima di sottoporli alle prove di fatica, in modo da verificare eventuali anomalie.<BR> <BR> <I><B>Apparecchiature</I></B> <BR> <BR> Le più disparate e nelle condizioni più estreme. E' inutile qui fare un elenco; per ogni settore è indicata una certa prova di fatica.<BR> In generale, considerato che tali apparecchiature hanno parti meccaniche in movimento per lungo tempo, garantitevi la solidità e l'affidabilità delle macchine. Non da ultimo, considerato che a volte abbiamo la necessità di effettuare le prove a basse o alte temperature o in camere climatiche, accertatevi la loro funzionalità nelle condizioni che desiderate. <BR> <BR> <I><B>Misure</I></B> <BR> <BR> La prova di fatica non è una vera e propria misura.<BR> Considerate quali variabili vi interessano (proprietà meccanice, ottiche, aspetto, essudazione, etc.) e misuratele prima e dopo la prova di fatica.<BR> E' un must effettuare le prove sul numero più elevato possibile di provini. <BR> <BR> <FONT SIZE=4> <U><B>Prove di durezza</U></B> </FONT> <BR> <BR> <I><B>Preparazione e condizionamento dei provini</I></B> <BR> <BR> E' il 98% della prova. Non fate una misura di durezza se i provini non sono ben preparati (piani) e condizionati. La prova di per se stessa è banale e vi da' solo un numero da comparare.<BR> <BR> <I><B>Apparecchiature</I></B> <BR> <BR> Scegliete l'apparecchio specifico per le vostre esigenze e per il vostro range di durezza. In generale non sono apparecchi costosi e possono dare molte indicazioni se utilizzati cum grano salis.<BR> La taratura è fondamentale.<BR> <BR> <I><B>Misure</I></B> <BR> <BR> Ci sono diversi 'gradi' di durezza: Rockwell, Shore, IRHD, etc.<BR> Considerate il vostro materiale e scegliete di conseguenza.<BR> In generale considerate che la misura è in generale semplice e richiede pochi minuti. <BR> <BR> <FONT SIZE=4> <U><B>Altre prove meccaniche</U></B> </FONT> <BR> <BR> Vi sono anche altre prove meccaniche, come la resistenza e il comportamento allo scoppio, la resistenza al graffio, alla perforazione e altre ancora. <BR> <BR> <BR> <B><FONT SIZE=5> <CENTER>PROVE REOLOGICHE</CENTER> </FONT></B> <BR> <BR> Quando un materiale, in particolare un materiale plastico, viene formato, questo scorre, nello stato fluido-viscoso, nella macchina e viene quindi raffreddato, prendendo la forma finale.<BR> La conoscenza della nostra macchina e di cosa dobbiamo fare per ottenere un prodotto migliore deriva dall'esperienza insostituibile di chi la segue, di chi la fa funzionare e di chi la progetta.<BR> Tutta questa esperienza pratica è basata sul comportamento del materiale nella nostra macchina con le condizioni di temperatura, sforzo e pressioni che noi decidiamo.<BR> Conoscere il comportamento del materiale in quelle condizioni è l'obiettivo delle misure reologiche.<BR> <BR> La reologia è quindi la scienza che studia le proprietà di flusso e di deformazione della materia.<BR> In generale, per quanto riguarda i polimeri puri o additivati la reologia risulta essere complessa, le proprietà reologiche si discostano notevolmente dall'idealità e dipendono da numerose variabili, come lo shear rate, il peso molecolare, la struttura della catena macromolecolare, il tipo e la concentrazione degli additivi, la temperatura, la pressione e anche dal tempo.<BR> <BR> Lo studio della reologia è di fondamentale importanza per i materiali a base macromolecolare per due ragioni:<BR> <BR> 1) durante la produzione di tali materiali la reologia del fuso e delle polveri determina gli sforzi durante tutte le operazioni di trasformazione, come l'estrusione, la calandratura, la soffiatura, la filatura, la spalmatura, lo stampaggio, etc.<BR> <BR> 2) le proprietà reologiche influenzano il comportamento meccanico dei prodotti, incidendo sul tenore degli sforzi residui nei materiali in particolare dove è presente orientazione, su eventuali volumi liberi (ad es. per i materiali espansi), etc. <BR> <BR> Come già accennato, la reologia delle polveri riveste anch'essa grande importanza, ad esempio nel mixing e durante le prime parti di un'estrusore o di una pressa ad iniezione. <BR> <BR> Per meglio decidere quale strumento di misura è più indicato per le nostre esigenze, la prima cosa da fare è considerare quali sono le condizioni del processo di lavorazione, in particolare le velocità di deformazione cui è sottoposto il materiale.<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <U><B>Viscosimetri capillari</U></B> </FONT> <BR> <BR> <I><B>Preparazione dei campioni e condizionamento</I></B> <BR> <BR> A differenza delle prove meccaniche, per le prove reologiche non è necessaria una particolare preparazione. Tuttavia è necessario evitare inquinamenti di qualsiasi tipo: ad esempio un campione umido può presentare viscosità più basse di quelle reali.<BR> E' meglio quindi un condizionamento in camera climatica o in condizioni standard. L'esperienza specifica può definire meglio tali esigenze. <BR> <BR> <I><B>Apparecchiature</I></B> <BR> <BR> In un viscosimetro capillare, il materiale allo stato fluido-viscoso viene spinto ad una determinata temperatura attraverso un capillare, generalmente cilindrico e di dimensione e lunghezza variabili.<BR> La velocità di scorrimento, la forza di spinta e, facoltativamente, la pressione all'ingresso del capillare vengono misurate in continuo; il risultato sono curve reologiche in cui generalmente viene rappresentata la viscosità in funzione del gradiente della velocità di taglio (di solito indicato col termine anglosassone di shear rate).<BR> Trattandosi di uno strumento che di solito opera ad elevata temperatura (fino a 400°C normalmente) e con diverse parti meccaniche di precisione, una buona manualità è comunque necessaria. Inoltre solo con l'esperienza si potranno ricavare misure perfettamente riproducibili.<BR> La pulizia della strumentazione in questo caso è di importanza vitale. <BR> <BR> <I><B>Misure</I></B> <BR> <BR> Le misure reologiche sono piene di informazioni, ma come sempre accade nei casi complessi, bisogna saperle leggere e interpretare. <BR> <BR> Questo è un esempio di misura reologica di due materiali:<BR> <IMG SRC="reol001.jpg" width=600 height=500> <BR> Il materiale A presenta viscosità più alte a bassi shear rate, e più basse ad alti shear rate, in confronto col materiale B.<BR> In questo caso il materiale A presenta un melt index più basso del materiale B, mentre invece durante il processo il comportamento sembra inverso: il MFI è anch'esso una misura reologica, ma misurato solo a shear rate molto bassi, invece il nostro processo comporta shear rate elevati sul materiale: per questo un MFI può essere fuorviante. <BR> <BR> <FONT SIZE=4> <U><B>Viscosimetri di processo</U></B> </FONT> <BR> <BR> La viscosità del materiale in questione può anche essere misurata su machine pilota che simulano il nostro processo (ad esempio su estrusori pilota) o addirittura on-line su macchine di processo. <BR> <BR> Non vogliamo in questo caso entrare nel dettaglio delle apparecchiature, perchè queste sono specifiche e a volte disegnate dai produttori sulle esigenze del cliente. <BR> <BR> Vogliamo solamente notare che questo tipo di misura è senza dubbio il più vicino a quello che succede realmente nelle nostre macchine di trasformazione; d'altrocanto le misure a volte non sono effettuabili e non hanno quella 'universalità' che possono avere le misure effettuate con un viscosimetro da banco di tipo capillare. <BR> <BR> <FONT SIZE=4> <U><B>Viscosimetri rotazionali</U></B> </FONT> <BR> <BR> <I><B>Apparecchiature</I></B> <BR> <BR> Esistono di tipo diverso.<BR> In questo viene misurato lo sforzo di torsione e quindi vengono ricavate le solite curve di viscosità in funzione dello shear rate.<BR> Questi sono gli strumenti adatti per misurare il range di shear rate più bassi, fino quasi allo zero. Non possono generalmente raggiungere gli shear rate dei reometri capillari.<BR> Per questo, ove sia richiesta una caratterizzazione reologica il più possibile completa, sarebbe opportuno utilizzare sia i viscosimetri rotazionali che quelli capillari. <BR> <BR> <I><B>Misure</I></B> <BR> <BR> In generale attualmente non è più necessario effettuare alcun calcolo per arrivare al dato voluto perchè ci pensano i computer.<BR> Una grande attenzione invece va dedicata alla pulizia, per tutti i tipi di reometri di questo tipo.<BR> Una certa esperienza va fatta per considerare tutte le variabili legate al materiale (presenza di aria, di umidità, etc.) e ai transienti della misura.<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <U><B>DMTA</U></B> </FONT> <BR> <BR> DMTA=Dynamical mechanical thermal analyzer, ovvero prove dinamico-meccaniche-termiche. <BR> Questa prova si trova a cavallo tra le prove meccaniche, le prove reologiche e le prove termiche. Per questo può fornire un numero elevatissimo di informazioni, ma deve essere conosciuta nei minimi dettagli.<BR> E' l'unica prova che fornisce contemporaneamente la viscosità reale e complessa, e può farlo in funzione della temperatura.<BR> <BR> <I><B>Preparazione e condizionamento dei provini</I></B> <BR> <BR> Questa fase deve richiedere un'attenzione adeguata, soprattutto se i provini sono solidi. Valgono le stesse considerazioni fatte per le prove meccaniche.<BR> <BR> <I><B>Apparecchiatura</I></B> <BR> <BR> Le apparecchiature lavorano su piccole quantità di materiale e le prove possono essere effettuate in un range di temperatura elevato (da -150 a 350 °C).<BR> Di fondamentale importanza è il posizionamento del campione, per cui esiste una infinità di modi diversi più o meno appropriati. La teoria e anche molta esperienza sono necessarie per ottenere i risultati migliori.<BR> <BR> <I><B>Misure</I></B> <BR> <BR> Questi strumenti misurano diverse cose: la frequenza di sollecitazione, lo sforzo di sollecitazione, la temperatura, il ritardo di risposta e a volte anche lo sforzo e la deformazione in trazione! Prima di comprare una tale apparecchiatura, dobbiamo essere abbastanza preparati.<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <U><B>Prove specifiche</U></B> </FONT> <BR> <BR> Esiste inoltre una serie infinita di possibili misurazioni di viscosità più specifiche e meno universali di quelle elencate fino ad ora, ma che consentono ad un prezzo contenuto di poter caratterizzare a volte sufficientemente un materiale.<BR> Elenchiamo qui, solo a titolo di esempio, i viscosimetri Brookfield, i Severs e gli apparecchi per il melt flow index (MFI) che rispondono a precise normative internazionali. Per prove comparative unicamente, ci si può anche ingegnare costruendosi degli apparecchi home-made.<BR> <BR> <BR> <BR> <B><FONT SIZE=5> <CENTER>PROVE ELETTRICHE</CENTER> </FONT></B> <BR> Le prove di tipo elettrico-elettromagnetico, a livello di caratterizzazione di materiali, sono spesso prove specifiche per l'applicazione interessata.<BR> I polimeri e le materie plastiche in generale sono nella maggior parte dei casi classificati tra gli isolanti. Le prove si devono quindi generalmente adeguare a passaggi di corrente bassi.<BR> Su un materiale possiamo dividere le prove in prove di volume (bulk) o di superficie per correnti continue o alternate.<BR> Vi sono infine le prove tecnologiche su prodotti finiti, ad esempio sui cavi elettrici.<BR> In generale le prove sono anche empiricamente suddivise in 'basse' o 'alte' tensioni, dove con 'basse' si intende tutto quello che riguarda la tensione di tipo ' casalingo' (da 0 fino a 380 Volt) e con 'alte' invece si intendono le tensioni coinvolte a livello industriale per il trasporto e l'immagazzinamento dell'energia elettrica.<BR> Le prime prove di caratterizzazione sono le misure di resistività di superficie o di volume.<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <U><B>Misure di conducibilità di volume</U></B> </FONT> <BR> <BR> <I><B>Preparazione e condizionamento dei provini</I></B> <BR> <BR> E' un fattore fondamentale per tutte le caratterizzazioni di tipo elettrico. Le prove vanno eseguite necessariamente su diversi provini per testare la riproducibilità del dato. E' utile ricordare che spesso le caratterizzazioni vanno fatte in ambiente controllato, ad esempio a diverse temperature e umidità.<BR> Se state confrontando dei dati ottenuti in estate ed in inverno in ambienti non controllati: STATE PERDENDO TEMPO!<BR> Ha volte l'investimento in denaro riguardante il condizionamento e la preparazione riveste il 95% del costo della prova, ma, ripetiamo, è basilare.<BR> <BR> <I><B>Apparecchiature</I></B> <BR> <BR> Stressiamo sulla necessità assolute riguardante la preparazione e il condizionamento dei provini. E' bene considerare l'acquisto di una camera climatizzabile e condizionabile per effettuare prove a diverse condizioni di temperatura ed umidità e sufficientemente grande per alloggiare l'apparecchiatura di prova.<BR> Per quanto riguarda la misura è necessario un alimentatore di tensione/corrente e un tester sufficientemente sensibile, meglio un multimetro collegato ad un PC. Per quanto riguarda gli elettrodi vanno considerati specificamente per i provini che vogliamo analizzare.<BR> E' utilissimo, soprattutto in fase di set-up degli esperimenti, un oscilloscopio (indispensabile per le misure in corrente alternata).<BR> <BR> <I><B>Misura</I></B> <BR> <BR> Se i provini sono ben preparati, adeguatamente condizionati e correttamente connessi agli elettrodi, il più è fatto: l'attenzione va quindi dedicata al controllo delle tensioni e delle correnti, per l'analisi dei transienti e degli stati di regime.<BR> L'uso di strumentazione collegata a registratori (oggi computer) consente, soprattutto in fase iniziale di messa a punto, una conoscenza di quello che succede effettivamente nei provini.<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <U><B>Misure di conducibilità di superficie</U></B> </FONT> <BR> <BR> <I><B>Preparazione e condizionamento dei provini</I></B> <BR> <BR> Valgono le medesime considerazioni fatte per le misure di volume e forse ancor di più! Per la loro importanza, le ripetiamo pari pari:<BR> La preparazione e il condizionamento dei provini sono fattori fondamentali per tutte le caratterizzazioni di tipo elettrico. Le prove vanno eseguite necessariamente su diversi provini per testare la riproducibilità del dato.<BR> E' utile ricordare che spesso le caratterizzazioni vanno fatte in ambiente controllato, ad esempio a diverse temperature e umidità.<BR> Se state confrontando dei dati ottenuti in estate ed in inverno in ambienti non controllati: STATE PERDENDO TEMPO!<BR> Ha volte l'investimento in denaro riguardante il condizionamento e la preparazione riveste il 95% del costo della prova, ma, ripetiamo, è basilare.<BR> <BR> <I><B>Apparecchiature</I></B> <BR> <BR> Anche qui, come per le misure di volume, stressiamo sulla necessità assolute riguardante la preparazione e il condizionamento dei provini. E' bene considerare l'acquisto di una camera climatizzabile e condizionabile per effettuare prove a diverse condizioni di temperatura ed umidità e sufficientemente grande per alloggiare l'apparecchiatura di prova.<BR> Per quanto riguarda la misura è necessario un alimentatore di tensione/corrente e un tester sufficientemente sensibile, meglio un multimetro collegato ad un PC.<BR> Per quanto riguarda gli elettrodi vanno considerati specificamente per i provini che vogliamo analizzare e sono una parte delicata delle misure di superficie.<BR> E' utilissimo, soprattutto in fase di set-up degli esperimenti, un oscilloscopio (indispensabile per le misure in corrente alternata).<BR> <BR> <I><B>Misura</I></B> <BR> <BR> Se i provini sono ben preparati, adeguatamente condizionati e correttamente connessi agli elettrodi, il più è fatto: l'attenzione va quindi dedicata al controllo delle tensioni e delle correnti, per l'analisi dei transienti e degli stati di regime.<BR> L'uso di strumentazione collegata a registratori (oggi computer) consente, soprattutto in fase iniziale di messa a punto, una conoscenza di quello che succede effettivamente nei provini.<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <U><B>Misure di tensione di rottura</U></B> </FONT> <BR> <BR> <I><B>Preparazione e condizionamento dei provini</I></B> <BR> <BR> Le misure di tensione di rottura possono essere eseguite su provini preparati o su campioni di manufatto. Valgono le medesime considerazioni fatte per tutte le misure elettriche riguardo alla preparazione e al codizionamento dei campioni, con l'aggravante del fatto che la misura è spesso più complessa e lunga e quindi ripeterla per una preparazione dei provini non perfetta o per un condizionamento inadeguato è più costoso.<BR> <BR> <I><B>Apparecchiature</I></B> <BR> <BR> In questo caso l'alimentatore deve essere dimensionato adeguatamente, e quindi deve fornire tensioni fino a 100000 Volt! Di conseguenza queste misure richiedono costi e caratteristiche di sicurezza molto elevati: pensiamo ad esse solo se ne abbiamo realmente bisogno, altrimenti rivolgiamoci ad un centro specializzato e andiamo a seguire le prove direttamente.<BR> <BR> <I><B>Misure</I></B> <BR> <BR> Oltre al dato della tensione oltre la quale il nostro campione/materiale collassa, è importante un'analisi dei provini dopo la prova e del comportamento di questi durante la prova.<BR> Ripetiamo che la massima sicurezza deve essere garantita, a causa delle tensioni e correnti elevatissime che possono essere in gioco.<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <U><B>Misure specifiche</U></B> </FONT> <BR> <BR> Esistono infine una serie di misure specifiche per il materiale e l'applicazione di interesse.<BR> Senza voler entrare nel dettaglio, stressiamo ancora una volta sulla necessità comune di una buona preparazione dei provini e sul loro condizionamento perfetto.<BR> Preferiamo le prove a basse tensioni e consideriamo sempre il fattore sicurezza sopra gli altri.<BR> <BR> <BR> <BR> <B><FONT SIZE=5> <CENTER>COMPORTAMENTO AL FUOCO</CENTER> </FONT></B> <BR> <BR> Esistono molte prove tecnologiche che spesso sono specifiche per l'applicazione di interesse e molte volte variabili a secondo della legislazione di riferimento. Non vogliamo né possiamo elencarle tutte.<BR> L'imperativo comune sta' nella riproducibilità del dato, che deve essere perseguita prima di tutto e per la quale la fase di preparazione e condizionamento dei materiali da sottoporre ai test è fondamentale.<BR> Si devono quindi preferire come sempre le prove più semplici e che fanno riferimento a normative internazionali consolidate, come ad esempio l'indice di ossigeno, e considerare le prove più specifiche solo se necessario.<BR> <BR> Ricordiamo che i fattori da considerare per una caratterizzazione di un materiale al fuoco sono diversi: <BR> <BR> 1)indice di autoinfiammabilità,<BR> 2)comportamento alla fiamma,<BR> 3) sviluppo di fumi e loro composizione chimica, <BR>4) autoestinguenza, etc.<BR> <BR> Una buona scaletta di operazioni da fare prima di avvicinarsi a queste prove è la seguente:<BR> <BR> 1) Considerare il materiale e l'applicazione di interesse e documentarsi sulla legislazione vigente nei vari paesi <BR> <BR> 2) Analizzare le normative di riferimento relative al materiale/prodotto in questione, preferendo le prove più semplici <BR> <BR> 3) Valutare il fattore sicurezza delle prove da effettuare come prima cosa e sopra tutto <BR> <BR> 4) Valutare quindi i costi e se conviene effettuare prove in centri specializzati o attrezzarsi internamente <BR> <BR> 5) Dotarsi della strumentazione adeguata per la preparazione e per l'esecuzione delle prove <BR> <BR> 6) Raggiungere la piena riproducibilità delle prove <BR> <BR> <BR> <BR> <FONT COLOR="#000000"> <B><FONT SIZE=5> <CENTER>ASPETTO E MORFOLOGIA</CENTER> </FONT></B> <BR> <FONT SIZE=4> <U><B>Misure dimensionali (volume, spessore, area)</B></U> </FONT> <BR> <BR> Questo tipo di misure deve essere specificato per ogni esigenza e a secondo della precisione richiesta.<BR> L'analisi di tipo statistico dei dati è in questo caso di fondamentale importanza.<BR> <BR> <B><I>Misure di volume</I></B> <BR> <BR> Il volume occupato dipende certamente dal tipo di materiale, ma ovviamente anche da altre variabili.<BR> Di solito è interessante sapere il volume occupato da un materiale in determinate condizioni, ad esempio di un fuso polimerico all'interno di un estrusore.<BR> Come primo passo, a volte non considerato, deve essere fatta un'analisi teorica sulla base delle conoscenze che abbiamo del materiale e delle condizioni a cui è sottoposto.<BR> Le misure poi sono di tipo specifico e vanno considerate caso per caso. Vogliamo qui ricordare i sistemi di misura computerizzati di analisi di oggetti 3D per un controllo di qualità di tipo statistico.<BR> <BR> <B><I>Misure di spessore</B></I> <BR> <BR> La misura di uno spessore è spesso preliminare a moltissime altre misura; la conoscenza della precisione del dato di spessore può a volte far risparmiare molto tempo sulle misure successive.<BR> <BR> Ecco alcune apparecchiature:<BR> <BR> 1) Spessimetri e micrometri meccanici.<BR> <BR> 2) Microscopi calibrati per misure singole.<BR> <BR> 3) Sistemi di analisi di immagine per misure singole e in linea.<BR> <BR> 4) Sistemi laser per misure singole e in linea.<BR> <BR> 5) Sistemi ad effetto Hall.<BR> <BR> 6) Sistemi a raggi beta.<BR> <BR> Due sono le parole chiave: precisione e analisi statistica:<BR> <BR> L'analisi statistica riveste primaria importanza, sopratutto quando abbiamo a che fare con una enorme quantità di dati. La precisione della misura deve essere sempre nota a priori.<BR> <BR> <B><I>Misure di area superficiale</B></I> <BR> <BR> Con forme complesse, i sistemi di analisi di immagine risolvono brillantemente le necessità di misura di superficie.<BR> In questo le variabili più sensibili sono l'illuminazione e il posizionamento dei campioni e la calibrazione dei sistemi di misura.<BR> Anche in questo caso, come per gli altri sistemi di misura dimensionale, deve esserci la padronanza completa delle tecniche statistiche di elaborazione dei dati e della teoria degli errori relativa alla precisione delle misure e delle apparecchiature.<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <B><U>Misure di colore, lucentezza, trasparenza</B></U> </FONT> <BR> <BR> Le misure delle caratteristiche colorimetriche rivestono un'importanza primaria in quasi tutti i settori applicativi e vengono richieste nelle diverse fasi di messa a punto dei prodotti, della produzione, del controllo qualità, etc.<BR> Una costanza colorimetrica di un materiale è inoltre indice molto importante sulla costanza qualitativa generale del prodotto.<BR> <BR> Sulle tecniche e in generale sulla misura del colore esistono centinaia di volumi e decine di migliaia di pubblicazioni. Per quanto riguarda la strumentazione esistono centinaia di produttori di colorimetri/spettrofotometri per le più diverse esigenze.<BR> Di fondamentale importanza anche i diversi software di elaborazione dei dati colorimetrici e di ricettazione automatica del colore.<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <B><I>Misurare il colore</B></I> </FONT> <BR> <BR> Ecco i passi:<BR> <BR> 1) preparare i campioni da misurare secondo metodologie standardizzate.<BR> 2) analisi visiva: servirsi di diversi operatori: il colore è dato dalla terna illuminante/oggetto/osservatore, per cui diversi osservatori possono avere impressioni diverse.<BR> 3) standardizzare le condizioni di illuminazione: munirsi di una cabina colore con i diversi illuminanti per l'analisi di tipo visivo.<BR> 4) analisi strumentale, spettrofotometri e colorimetri: prima di usarli, padroneggiare le diverse variabili ad essi collegate, quali angolo di incidenza, illuminante, angolo di osservazione, filtri, riflettanza. Non è raro imbattersi in misurazioni effettuate senza sapere le condizioni strumentali utilizzate.<BR> Gli spettrofotometri portatili sono molto comodi, ma in ogni caso preferite quelli da banco se potete scegliere.<BR> 5) Ricettazione strumentale. Per le esigenze industriali, i software di analisi dati e ricettazione colorimetrica rivestono importanza fondamentale: cercate la massima flessibilità di questi sistemi, che evolveranno con voi.<BR> 6) Sempre, sempre, sempre CONTROLLATE e CALIBRATE gli strumenti di misura: tali operazioni richiedono tempi minimi e vi eviteranno perdite di tempo enormi.<BR> <BR> <B><I>Lucentezza</I></B> <BR> <BR> Le misure sono in questo caso più semplici di quelle di colore. Esistono strumenti specifici che danno un grado di lucentezza. Prima di sceglierli, informatevi su cosa si utilizza nel vostro settore.<BR> La bontà della misura sta' tutta nella bontà del provino.<BR> <BR> <B><I>Trasparenza</B></I> <BR> <BR> Quando possibile, basatevi su uno spettrofotometro che vi da' la trasmittanza a tutte le lunghezze d'onda.<BR> In questo caso la precisione nella preparazione del provino è il punto chiave.<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <B><U>Misure di porosità</U></B> </FONT> <BR> <BR> L'aspetto, la forma, la quantità dei pori e se questi sono in superficie o nell'interno sono gli oggetti di una misura di porosimetria.<BR> <BR> Un modo classico da ricerca è l'utilizzo di un microscopio ottico o, meglio ancora, elettronico (VEDI SEZIONE MICROSCOPIA).<BR> <BR> Per un'analisi più specifica esistono i porosimetri (ad esempio, il porosimetro a mercurio).<BR> Generalmente sono strumenti sui quali ci si deve fare una certa esperienza nell'analisi dei propri materiali e quindi possono essere usati anche routinariamente per analisi di controllo qualità.<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <B><U>Peso, peso specifico, densità apparente e reale</B></U> </FONT> <BR> <BR> <B><I>Peso</B></I> <BR> <BR> Il peso è una delle grandezze fondamentali, e probabilmente quella che più deve essere misurata in un laboratorio analitico.<BR> Forse il primo strumento di un laboratorio deve essere una bilancia.<BR> Le misure del peso sono un buon test sulle capacità di misura di un operatore: la misura deve infatti essere precisa, affidabile e riproducibile e lo strumento deve essere tenuto sotto calibrazione e controllo periodici.<BR> Indice di buon uso della strumentazione è conoscere il grado di affidabilità di una pesata e quali semplici, ma fondamentali, accorgimenti vanno presi per una corretta misura.<BR> <BR> <B><I>Peso specifico e densità reale</B></I> <BR> <BR> Una costanza del peso specifico è uno degli indici di costanza qualitativa e, a causa della semplicità della misura, dovrebbe essere considerato tra le misure fondamentali di controllo qualità.<BR> <BR> Alcuni metodi si basano sull'uso di bilance, altri di colonne a gradiente ed altri ancora di picnometri a gas per la densità.<BR> <BR> Valutiamo preventivamente quale precisione è richiesta e quindi decidiamo il metodo più indicato.<BR> <BR> <B><I>Densità apparente</B></I> <BR> <BR> E' un termine abbastanza improprio. Comunque si tratta di valutare 'l'ingombro' di un certo tipo di materiale in determinate condizioni. Le misure sono spesso misure di volume di ingombro.<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <B><U>Granulometria</B></U> </FONT> <BR> <BR> I materiali che ci interessano sono spesso sotto forma di piccoli granuli o polvere, e a loro volta hanno una struttura composta da particelle più piccole.<BR> Mediante differenti tecniche è possibile indagare la struttura di un singolo elemento o la struttura media delle particelle costituenti il nostro materiale.<BR> Supponiamo ad esempio di avere una polvere costituita da particelle che chiameremo 'secondarie', a loro volta costituite da un aggregato di particelle che chiameremo 'primarie'.<BR> <BR> <B><I>Preparazione e condizionamento del materiale</B></I> <BR> <BR> E' una fase dipendente dal tipo di apparecchiatura che si utilizza. Ad esempio, se vogliamo indagare le 'primarie' dobbiamo a volte disgregare il più possibile la struttura secondaria della polvere. In ogni caso dovremmo avere un campione rappresentativo del nostro materiale nella forma voluta e senza agglomerati anomali. <BR> <BR> <B><I>Strumentazione</I></B> <BR> <BR> A titolo di esempio, elenchiamo alcuni modi classici per misurare la morfologia di una materiale:<BR> <BR> <I> Setacciatura</I> <BR> <BR> E' il metodo classico e il più conveniente.<BR> Da' ottimi e riproducibili risultati se utilizzato sempre nelle medesime condizioni. Purtroppo è un metodo spesso un po' troppo 'soggettivo', specie se la setacciatura viene effettuata manualmente. Da preferire decisamente sono le colonne di setacci con vibratore automatico.<BR> La misura di solito indica la % in peso del materiale che ha passato un setaccio di una determinata maglia.<BR> <BR> <I> Microscopio</I> <BR> <BR> E' il metodo più diretto e da ricerca. Da' informazioni anche sulla struttura delle particelle, ma non è applicabile quasi mai come controllo qualità. <BR> <BR> <I> Coulter</I> <BR> <BR> E' un metodo che si basa su un principio abbastanza complesso, ma che è diventato di routine per molte applicazioni, specialmente nel settore medicale.<BR> Non è sempre utilizzabile, ma dove lo è, consente la misura di tutta la distribuzione granulometrica in un tempo minimo.<BR> A causa della sua delicatezza, è uno strumento da tenere sempre sotto controllo e calibrazione e possibilmente da utilizzare con costanza.<BR> <BR> <I> Centrifughe per sedimentazione</I> <BR> <BR> Anche in questo caso si ottiene con una sola misura tutta la distribuzione granulometrica.<BR> Le variabili per avere una buona misura sono molte e conviene preventivamente analizzarle ad una ad una per ottimizzare le condizioni al nostro materiale. La strumentazione, come per il Coulter, deve essere sempre in buono stato e controllata.<BR> <BR> <I> Laser scattering</I> <BR> <BR> E' una misura indiretta, ma molto efficace e copre un range dimensionale molto vasto. Si basa sulla diffusione di un fascio di luce laser quando colpisce particelle di una certa dimensione.<BR> <BR> Il Coulter, la centrifuga e lo scattering laser devono essere assolutamente provati prima sui nostri campioni, se possibile direttamente da noi, per renderci conto delle potenzialità e delle limitazioni di queste tecniche sui nostri materiali: questo per non avere brutte sorprese!<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <B><U>Analisi microscopica ottica ed elettronica, analisi di immagine</B></U> </FONT> <BR> <BR> Un microscopio è la prima cosa da avere.<BR> Un profano pensa subito agli ingrandimenti: è (quasi) l'ultima cosa a cui pensare!<BR> <BR> Un buon stereomicroscopio è un ottimo strumento di analisi morfologica ed è indispensabile anche come complemento di molte altre tecniche analitiche.<BR> <BR> Un microscopio classico richiede maggiore preparazione del campione e solitamente serve meno.<BR> Le misure ottiche con fornetto riscaldato e luce polarizzata danno indicazioni sulla natura del materiale, ma richiedono una certa esperienza.<BR> <BR> Il microscopio elettronico è un sogno per molti. Richiede tuttavia, oltre ad un investimento elevato, una certa dose di esperienza e la consapevolezza che ciò che vediamo non è detto sia subito rappresentativo del nostro materiale.<BR> <BR> Tutte le tecniche microscopiche richiedono una notevole abilità ed esperienza nella preparazione del campione. Un utile accessorio può rivelarsi un microtomo per il sezionamento di campioni in maniera controllata.<BR> <BR> I sistemi di analisi di immagine sono essenzialmente sistemi di elaborazione di un'immagine acquisita mediante telecamera su un oggetto macroscopico o microscopico. Il trucco sta nell'illuminazone del campione, che deve essere il più possibile uniforme e riproducibile nel tempo.<BR> Questi sistemi possono essere applicati al controllo qualità di pezzi finiti, ma solo previa sperimentazione adeguata.<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <B><U>Rugosità superficiale, tensione superficiale</U></B> </FONT> <BR> <BR> Oltre ad un'analisi di tipo microscopico, esiste la possibilità di misurare la rugosità superficiale mediante metodi meccanici estremamente semplici e di routine. Gli strumenti sono i rugosimetri.<BR> <BR> La tensione superficiale è una caratteristica chimico-morfologica della superficie. Riveste notevole importanza quando il materiale deve essere soggetto a verniciatura o trattamento superficiale.<BR> Esistono soluzioni calibrate a tensione superficiale nota oppure delle penne calibrate. La misura, abbastanza semplice nell'esecuzione, è tuttavia spesso soggettiva e notevole cura deve essere riposta nelle soluzioni di calibrazione. <BR> <BR> <BR> <B><FONT SIZE=5> <CENTER>COMPOSIZIONE: SPETTROSCOPIA</CENTER> </FONT></B> <br> <br> <FONT SIZE=4> <B><U>UV-Visibile-NIR</U></B> </FONT> <BR> <BR> La spettroscopia UV-Visibile è una delle tecniche più classiche di analisi spettroscopica di una sostanza.<BR> Può essere applicata a tutti i materiali sotto forma di gas, liquidi o solidi, per questo le considerazioni specifiche vanno fatte caso per caso; l'analisi può essere di tipo qualitativo e quantitativo.<BR> <BR> <B><I>Preparazione del campione</I></B> <BR> <BR> Proprio perchè la tecnica si presta all'analisi di tutti i tipi di campioni, la cura e il tempo speso per la preparazione del campione può dipendere molto a secondo del campione e del tipo di analisi desiderata.<BR> Un'analisi quantitativa richiede sempre una calibrazione messa a punto preliminarmente e una notevole precisione nella preparazione. In questo caso la preparazione è il 98% dell'analisi.<BR> Per un'analisi qualitativa in riflettanza su un campione solido, praticamente non è necessaria alcuna preparazione; per contro l'intepretazione del dato può essere molto laboriosa se non quasi impossibile.<BR> <BR> <B><I>Strumentazione</I></B> <BR> <BR> Gli strumenti dispersivi UV-Visibile coprono generalmente il range 190-900 nm e sono i più utilizzati; possono avere un costo anche molto contenuto.<BR> Se invece vi è la necessità di ampliare il range nel NIR, il costo aumenta anche del triplo, ma il range è di solito 190-3000 nm.<BR> Per l'analisi di campioni in riflettanza è necessaria una sfera integratrice come accessorio. <BR> <BR> Un discorso a parte richiedono gli spettrometri dedicati NIR (vedi sezione NIR). <BR> <BR> <B><I>Misura</I></B> <BR> <BR> Gli spettri UV-Visibile e UV-Visibile-NIR sono mediamente di difficile interpretazione e scarsamente selettivi. Per questo, a parte alcuni casi, non è la tecnica preferibile per il riconoscimento di campioni incogniti, per cui la spettroscopia infrarossa è decisamente più indicabile.<BR> <BR> L'UV-Visibile può essere molto utile per la quantificazione di sostanze, specie se disciolte in un liquido o in un gas. <BR> La valutazione va fatta caso per caso e preventivamente.<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <B><U>Infrarosso (FTIR)</U></B> </FONT> <BR> <BR> La tecnica di spettroscopia infrarossa è la più usata per il riconoscimento di sostanze incognite e offre possibilità di analisi quantitativa in molti casi.<BR> E' applicabile su quasi ogni tipo di campione in maniera sempre più semplice mediante accessori opportuni. Consente anche l'analisi a livello microscopico su campioni o parti di campione delle dimensioni fino a 1 micron.<BR> Gli spettri possono essere ottenuti a qualsiasi temperatura e pressione con accessori opportuni.<BR> Il tempo di analisi è brevissimo con gli strumenti a trasformata di Fourier (FTIR, ormai quasi tutti), maggiore è il tempo di preparazione, soprattutto in caso di analisi quantitative. L'analisi on-line di processo è possibile solo in alcuni casi. <BR> <BR> <B><I>Preparazione del campione</I></B> <BR> <BR> Gas: esistono celle per gas facilmente utilizzabili; l'analisi è sempre sia qualitativa che quantitativa.<BR> Liquidi: esistono diversi modi, dalla deposizione su un supporto, alla cella calibrata da liquido, all'analisi in riflettanza; vanno valutate a seconda delle esigenze.<BR> Solidi: il modo di campionamento di un solido può essere molto diverso, un campione può essere filmato così come è e analizzato in trasmittanza o in riflettanza, oppure inglobato in matrici trasparenti, oppure, con accessori, analizzato in riflettanza senza preparazione alcuna.<BR> <BR> In generale ci si deve fare una certa manualità per ottenere spettri di ottima qualità; esistono 'trucchi' diversi sulla preparazione del campione che migliorano notevolmente il dato e consentono di ottenere analisi quantitative anche dove sembra impossibile.<BR> <BR> L'accessoristica relativa alla preparazione è sempre necessaria.<BR> <BR> <B><I>Strumentazione</I></B> <BR> <BR> La scelta sulla strumentazione è molto ampia, ma proprio per questo andrebbe fatta da esperti del settore per soddisfare le esigenze specifiche (è inutile pensare ad un microscopio FTIR se non lo utilizzeremo mai!).<BR> Per gli accessori il discorso è ancora più valido, con l'attenuante che i prezzi sono solitamente un po' più contenuti.<BR> Per molte applicazioni la possibilità di avere una libreria di spettri il più ampia possibile nel settore di interesse è un fattore importante.<BR> La cura della strumentazione è fondamentale per la sua durata. E ' consigliabile un ambiente a temperatura e umidità standard e un flussaggio con gas inerte o aria secca.<BR> Uno strumento compatto, semplice, flessibile, con risoluzione fino a 1 cm-1 e una libreria di spettri adeguata può essere comunque una buona base di partenza.<BR> Per la preparazione è utile una pressetta riscaldabile, una pastigliatrice per KBr, qualche vetrino di KBr, una cella da liquidi e una da gas.<BR> <BR> <B><I>Misura</I></B> <BR> <BR> La misura generalmente è composta da: <BR> <BR> preparazione del campione: dal 20% al 99 % della bontà del risultato.<BR> <BR> misura: di solito l'1% dell'analisi (basta qualche click di mouse e sapere cos'e' un computer)<BR> <BR> interpretazione: dal 20% al 99% della bontà del risultato. <BR> <BR> Per quanto riguarda la misura, la maggior parte della cura va riposta nel buon mantenimento della strumentazione e nel suo controllo periodico.<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <B><U>NIR</U></B> </FONT> <BR> <BR> Gli spettrometri dedicati NIR hanno applicazioni specifiche ma che consentono analisi qualitative e quantitative di routine anche in ambienti difficili come controllo di processo on-line mediante sonde lunghe anche decine o centinaia di metri. <BR> <BR> In questo caso la calibrazione è la base della misura, ma è preventivamente necessaria la valutazione dell'applicabilità della tecnica alle esigenze: non tutto è misurabile col NIR! <BR> <BR> <FONT SIZE=4> <B><U>RAMAN</U></B> </FONT> <BR> <BR> La spettroscopia Raman può dare un numero elevatissimo di informazioni paragonabile a quelle fornite dalla spettroscopia infrarossa; elenchiamo qui alcuni punti chiave: <BR> <BR> pro: <BR> <BR> 1) Il campione non necessita di preparazione e viene analizzato così come è. <BR> <BR> 2) Gli spettri Raman sono ricchissimi di informazioni <BR> <BR> 3) Gli spettri Raman possono essere eseguiti anche on-line e in condizioni difficili, con sonde remote lunghe anche centinaia di metri. E' possibile utilizzare spettrometri portatili. <BR> <BR> contro: <BR> <BR> 1) E' una tecnica non ancora molto diffusa: esistono pochissimi specialisti e alcuni strumenti soffrono ancora di 'artigianalità'. <BR> <BR> 2) Non applicabile in presenza di fluorescenza (da verificare sui propri materiali). <BR> <BR> <B><I>Preparazione del campione</I></B> <BR> <BR> Praticamente nessuna. Di conseguenza non vi è bisogno di nessun accessorio particolare. <BR> <BR> <B><I>Strumentazione</I></B> <BR> <BR> La strumentazione si divide in Raman convenzionale e FT-Raman, che può essere usato anche come accessorio di un FTIR.<BR> In generale ha costi da medi ad elevati e la scelta è senza dubbio inferiore rispetto agli infrarossi.<BR> Non vi sono parti igroscopiche come per gli FTIR e quindi non è richiesto condizionamento particolare.<BR> L'uso della strumentazione richiede però personale ben addestrato. <BR> <BR> <B><I>Misura</I></B> <BR> <BR> Con gli attuali array CCD la misura è diventata veloce, come per gli FTIR.<BR> La prearazione del campione è nulla, l'interpretazione degli spettri è tuttavia materia da specialisti, anche a causa della scarsa disponibilità di librerie di spettri Raman.<BR> E' quindi necessaria un'analisi preventiva per l'applicabilità della tecnica alle nostre esigenze.<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <B><U>Spettrometria di massa</U></B> </FONT> <BR> <BR> Non si basa come le precedenti su interazione di radiazione elettromagnetica con la materia, tuttavia si parla di spettri di massa in quanto misura una serie di segnali dovuti alle masse dei componenti analizzati.<BR> Può essere molto utile nell'identificazione di sostanze incognite ed è una tecnica sensibilissima anche per quantità minime di sostanza.<BR> Si presta quindi alla messa a punto di metodi quantitativi di rivelazione di tracce: le metodiche sono però ben definite e conviene informarsi prima se è possibile analizzare i nostri campioni e su quali metodi si devono utilizzare.<BR> <BR> <B><I>Preparazione del campione</I></B> <BR> <BR> Il trattamento e la preparazione del campione sono fondamentali e possono richiedere tempi anche lunghi.<BR> Occorre sempre sapere come si prepara un determinato campione e in che condizioni deve essere analizzato, l'improvvisazione è quindi decisamente sconsigliata.<BR> <BR> <B><I>Strumentazione</I></B> <BR> <BR> Varia a secondo della sensibilità necessaria. Di solito le componenti da analizzare sono separate cromatograficamente. <BR> Ha costi decisamente elevati e richiede una certa specializzazione, oltre ad una cura perfetta.<BR> <BR> <B><I>Misura</I></B> <BR> <BR> La misura può richiedere qualche ora; ogni cambiamento di condizioni può richiedere tempi ancora più lunghi.<BR> L'interpretazione degli spettri di massa richiede una conoscenza approfondita della tecnica e dei metodi che si stanno utilizzando. <BR> <BR> <FONT SIZE=4> <B><U>NMR</U></B> </FONT> <BR> <BR> E' una potentissima tecnica di indagine molecolare, ma è decisamente da specialisti.<BR> La strumentazione è delicata e costa molto, anche come manutenzione. E' da prendere in considerazione quando le informazioni che cerchiamo non possono essere facilmente fornite da altre tecniche diagnostiche.<BR> Il campione richiede spesso la dissoluzione in solvente e standard abbastanza costosi.<BR> L'investimento è notevole sia in termini di denaro, sia di tempo di analisi (diverse ore).<BR> L'interpretazione infine, pur aiutata da librerie, deve essere molto critica e competente. <BR> <BR> <BR> <BR> <B><FONT SIZE=5> <CENTER>COMPOSIZIONE: ANALISI TERMICA</CENTER> </FONT></B> <BR> <BR> <FONT SIZE=4> <B><U>Termogravimetria (TGA)</U></B> </FONT> <BR> <BR> La termogravimetria è una tecnica classica che consente un'analisi quantitativa precisa della composizione di un campione, senza però identificare la natura dei componenti, ma solo misurando quanto peso viene perso dal campione ad una certa temperatura.<BR> La quantità di campione è minima (pochi milligrammi).<BR> <BR> <B><I>Preparazione del campione</I></B> <BR> <BR> Il campione non ha bisogno di preparazione particolare, ma deve pesare al massimo poche centinaia di milligrammi. Per questo è una tecnica soggetta alle variazioni eventuali di omogeneità dei campioni.<BR> <BR> <B><I>Strumentazione</I></B> <BR> <BR> La strumentazione è concettualmente semplice, ma praticamente molto delicata e precisa e necessita di controllo e calibrazione periodici: in sostanza è una bilancia di estrema precisione in cui il campione viene riscaldato progressivamente dalla temperatura ambiente fino ad oltre 1000 °C con rampe di salita in temperatura programmabili.<BR> Dall'analisi di quando il campione perde peso e di quanto ne perde si possono trarre suggerimenti su cosa il campione libera e si misura con precisione quanto ne viene liberato.<BR> Lo strumento richiede un flussaggio con gas nella cella di combustione.<BR> I gas che si liberano dal campione possono essere analizzati interfacciando la TGA con un rivelatore come ad esempio uno spettrometro infrarosso.<BR> <BR> <B><I>Misura</I></B> <BR> <BR> La misura è abbastanza semplice e dura al massimo 1 ora. Tuttavia la sola analisi termogravimetrica non consente una determinazione delle componenti di una sostanza a composizione incognita.<BR> Tuttavia, specie per controllo qualità dove la composizione è nota, può fornire quantificazioni precise sulle % in peso dei diversi componenti di una sostanza.<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <B><U>DSC</U></B> </FONT> <BR> <BR> La calorimetria a scansione differenziale consente l'analisi delle transizioni termiche di fase di un campione sia in maniera qualitativa (dall'analisi della temperatura alla quale avviene la transizione) si quantitativa (dall'analisi dell'area del picco di transizione).<BR> Il campione deve generalmente pesare poche decine di milligrammi e quindi anche questa è un'analisi che può essere particolarmente soggetta a eventuali disomogeneità nei campioni.<BR> E' tipico il suo utilizzo per misurare la fusione di una parte cristallina o la transizione vetrosa di un polimero.<BR> Per questo rappresenta un valido aiuto per il riconoscimento di sostanze, anche se, come per la termogravimetria, una sola analisi DSC non consente l'identificazione certa di una sostanza, ma semmai l'esclusione della presenza di altre sostanze.<BR> <BR> <B><I>Preparazione del campione</I></B> <BR> <BR> La preparazione è semplice: una quantità minima di campione, dell'ordine di 10-20 milligrammi deve essere racchiusa in una apposita capsula di metallo e semplicemente introdotta nello strumento.<BR> <BR> <B><I>Strumentazione</I></B> <BR> <BR> La strumentazione DSC è oramai molto compatta e completamente automatizzata tramite computer. Richiede solamente un corretto flussaggio con gas adeguati (di solito azoto od ossigeno) e un controllo di calibrazione periodico per le temperature.<BR> Qualche accorgimento in più se si vuole lavorare a basse temperature con azoto liquido.<BR> <BR> <B><I>Misure</I></B> <BR> <BR> La misura ha una durata variabile generalmente da 10 minuti a circa 2 ore.<BR> E' necessario però verificare con differenti misure l'eventuale presenza di transizioni 'congelate' nel campione dovute a storie termiche particolari (ad esempio quenching), che non si presentano più se la misura viene effettuata una seconda volta o che viceversa si presentano solo con una seconda misura o con storie termiche differenti.<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <B><U>Residui a diverse temperature</U></B> </FONT> <BR> <BR> Ottime indicazioni sulla presenza e sulla quantità di sostanze inorganiche si possono ottenere semplicemente analizzando qualitativamente e quantitativamente i residui di combustione di un campione lasciato bruciare a determinate temperature.<BR> E' indicata sopratutto per controlli di qualità.<BR> <BR> <B><I>Preparazione del campione</I></B> <BR> <BR> Praticamente nessuna. Il campione viene inserito in muffola su un supporto adeguato dopo essere stato pesato.<BR> <BR> <B><I>Apparecchiatura</I></B> <BR> <BR> Basta una muffola ventilata che raggiunga i 1000 °C circa.<BR> <BR> <B><I>Misura</I></B> <BR> <BR> Si misura il peso residuo ed eventualmente si analizzano le ceneri residue.<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <B><U>Conducibilità termica</U></B> </FONT> <BR> <BR> Pur essendo una caratteristica fondamentale, ha scarso interesse di tipo analitico, ma riveste importanza solo laddove questa caratteristica sia di particolare interesse.<BR> E' quindi una prova tecnologica.<BR> Tuttavia indicazioni sulla conducibilità termica, specie se comparativa, si possono avere da diverse prove specifiche, attuate secondo normative internazionali.<BR> <BR> <BR> <BR> <BR> <B><FONT SIZE=5> <CENTER>COMPOSIZIONE: TECNICHE DI SEPARAZIONE</CENTER> </FONT></B> <BR> <BR> Spesso capita di dover analizzare la composizione di un campione composto da diversi elementi: ad esempio un polimero con plastificante, lubrificante e stabilizzante.<BR> Oppure di voler sapere se e quanto di un certo componente è presente in un campione.<BR> Una singola analisi che non separa i diversi componenti non riesce quasi mai a dare le informazioni sicure e complete.<BR> La cosa migliore è separare i diversi componenti e analizzarli singolarmente.<BR> A volte è possibile, a volte difficile, a volte ingannevole e a volte impossibile.<BR> Comunque, prima di pensare a tecniche più sofisticate, il consiglio è di provare a separare con tecniche tradizionali ed eventualmente, una volta che le tecniche tradizionali sono di nostra completa padronanza, utilizzare altre tecniche più sofisticate e veloci.<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <U><B>Estrazioni e precipitazioni con solventi</B></U> </FONT> <BR> <BR> Sono le tecniche più tradizionali ma che ancora oggi devono essere la base di partenza prima dell'utilizzo di altre tecniche.<BR> In questo campo sono necessari:<BR> 1) un'ottima manualità e una notevole pazienza, soprattutto in fase di sviluppo di metodi.<BR> 2) una perfetta riproducibilità dei dati e un'analisi critica delle fonti di errore.<BR> 3) spazio e tranquillità nel lavoro.<BR> <BR> come strumentazione bastano un po' di vetreria specifica, un fornetto e un'ottima bilancia analitica.<BR> <BR> <I><B>Strumentazione</B></I> <BR> <BR> Oltre a una bella cappa di aspirazione, sono necessari i classici apparecchi a basso costo: agitatori magnetici riscaldati, estrattori con refrigerante, beute da vuoto, filtri adeguati, qualitativi o quantitativi, essicatori, fornetto di essicazione e varie amenità: sarete voi a mettere a punto la metodologia migliore per le vostre estrazioni.<BR> Buoni gli estrattori tipo Soxhlet con i ditali adeguati e ottimi gli estrattori tipo Randall, dove l'estrazione avviene nel solvente a caldo.<BR> <BR> Esistono altre tecniche che facilitano o velocizzano un'estrazione, come gli estrattori a microonde o l'estrazione supercritica. Vanno valutate attentamente caso per caso perchè possono avere limitazioni importanti.<BR> <BR> <I><B>Misura</B></I> <BR> <BR> Dovete avere pazienza e tempo.<BR> Per questo, a causa della intrinseca lunghezza di alcune estrazioni, è meglio avere la possibilità di effettuare diverse estrazioni contemporaneamente (fino a 10 estrazioni).<BR> Ovviamente ci vuole spazio sufficiente.<BR> L'analisi degli estratti può poi seguire metodologie classiche di analisi per componenti singoli: un FTIR da sbarco con qualche buon vetrino di KBr può esssere sufficiente.<BR> <BR> A parte queste considerazioni generali, si deve poi mettere a punto il modo di estrazione specifico per i nostri campioni, e questa è una procedura tipo 'try and error' in fase di messa a punto; una volta finito il lavoro di messa a punto, il lavoro sarà tutto in discesa.<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <U><B>Cromatografia TLC, GC, HPLC, GPC</B></U> </FONT> <BR> <BR> Elenchiamo queste tecniche tutte insieme, perchè una trattazione specifica completa richiederebbe più spazio di quello consentito in una pagina web.<BR> <BR> Per queste tecniche la messa a punto del metodo è quasi tutto: esistono metodi specifici per certi campioni che si tramandano quasi come 'segreto' di un laboratorio o di un analista.<BR> <BR> In generale, poichè i campioni da analizzare devono essere ridotti in fase gas (GC) o in fase liquida in solvente (TLC, HPLC, GPC), è essenziale sapere cosa succede in queste fasi al nostro campione/elemento da analizzare.<BR> <BR> <I><B>Strumentazione</B></I> <BR> <BR> Oltre alla strumentazione specifica, è necessario considerare tutto quello che riguarda la preparazione del campione. Ad esempio, per un'analisi HPLC la preparazione del campione è il 70% della difficoltà e della riuscita dell'analisi.<BR> Le tecniche di estrazione sono i presupposti delle tecniche di separazione strumentali.<BR> <BR> Una buona conoscenza della strumentazione è necessaria e un controllo rigoroso della sua performance pure.<BR> <BR> Solitamente la strumentazione è costituita da un sistema di introduzione dei campioni, da un elemento dove avviene la separazione e da un rivelatore di ciò che è stato separato.<BR> <BR> <I><B>Misure</B></I> <BR> <BR> Ripetiamo che un buon metodo è la prima cosa da mettere a punto.<BR> Per questo la messa a punto di metodi è campo da specialisti, mentre l'analisi di routine può essere effettuata da buoni professionisti chimici.<BR> Se non siete specialisti, o analisti chimici, fate controllare sempre l'affidabilità del metodo e dell'apparecchiatura, magari su campioni a voi noti, ma incogniti per chi effettua l'analisi.<BR> <BR> <BR> <BR> <B><FONT SIZE=5> <CENTER>COMPOSIZIONE: ANALISI DEGLI ELEMENTI</CENTER> </FONT></B> <BR> <BR> L'analisi elementare può essere a volte l'uovo di colombo per esigenze anche complesse.<BR> Va' però valutata in tutta la sua potenzialità e in tutti i suoi limiti prima di affidarsi completamente ad essa.<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <U><B>Raggi X - SEM con raggi X</B></U> </FONT> <BR> <BR> <I><B>Strumentazione</B></I> <BR> <BR> La strumentazione SEM è ancora parecchio costosa (200000-300000 euro minimo), ma è sempre più alla portata analitica da parte di non ultra-specialisti.<BR> A parte i vantaggi di avere un microscopio che arriva a 50000 ingrandimenti, i raggi X ci consentono di analizzare anche quantitavamente i singoli elementi chimici.<BR> E' essenziale come tecnica quando dobbiamo studiare eventuali fenomeni di cattiva dispersione o di migrazione o in ogni caso dove ci sia da indagare un'eventuale disomogeneità compositiva.<BR> <BR> <I><B>Misura</B></I> <BR> <BR> Le analisi, per quanto siano sempre più rapide, richiedono comunque una certa perizia e un certo tempo di preparazione.<BR> Tuttavia notevoli passi in avanti sono stati fatti recentemente con l'introduzione di sistemi che non richiedono più il vuoto e che quindi riducono notevolmente i tempi.<BR> Oggi in 15-20 minuti si possono ottenere ottime risposte.<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <U><B>Assorbimento Atomico / Plasma</B></U> </FONT> <BR> <BR> L'assorbimento atomico è la tecnica tradizionale di analisi quantitativa anche di tracce di alcuni elementi chimici.<BR> Se ci interessa un singolo elemento chimico (ad esempio il sodio), da analizzare con precisione assoluta e presente in tracce, l'assorbimento atomico è quello che fa' per noi.<BR> L'assorbimento atomico analizza un elemento per volta, mentre il plasma tanti elementi insieme (ma costa di più).<BR> Se quindi cominciano ad interessarci più elementi, allora possiamo pensare ad un plasma.<BR> <BR> <I><B>Strumentazione</B></I> <BR> <BR> Oggi è molto affidabile, ma comunuque, soprattutto se le quantità che vogliamo analizzare sono basse, dobbiamo sempre controllarla e tenerla in perfetta efficienza: i controlli di questa strumentazione non sono mai sprecati.<BR> Una certa cura richiede la preparazione del campione e soprattutto degli standard di riferimento.<BR> <BR> <I><B>Misure</B></I> <BR> <BR> Una volta che lo strumento è in buone condizioni e le tarature sono perfette, la misura consiste praticamente solo nella preparazione del campione.<BR> <BR> Ricordatevi però: 1)strumento a posto, 2)taratura perfetta e controllata, 3) preparazione standardizzata.<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <U><B>Tecniche specifiche per singoli elementi</B></U> </FONT> <BR> <BR> <I><B>Strumentazione</B></I> <BR> <BR> Esistono degli strumenti per analizzare quantitivamente e routinariamente alcuni elementi chimic in maniera quantitiva.<BR> Ovviamente l'esigenza deve essere specifica.<BR> La strumentazione è in generale pensata per esigenze di controllo qualità; i tempi di analisi sono brevi o brevissimi e la preparazione e l'esecuzione sono molto semplici.<BR> Ovviamente tali strumenti servono solo per l'esigenza specifica e hanno scarsa o nulla flessibilità.<BR> Queste strumentazioni sono spesso disponibili anche per lavorare 'sul campo', cioè in ambiente produttivo.<BR> <BR> Un consiglio prima del loro acquisto è informarsi sui costi di manutenzione ( a volte ci sono parti che si devono sostituire periodicamente).<BR> <BR> <BR> <B><FONT SIZE=5> <CENTER>DEGRADAZIONE: TECNICHE DI INVECCHIAMENTO E ANALISI</CENTER> </FONT></B> <BR> <BR> I fenomeni di degradazione sono numerosissimi e coinvolgono un numero di variabili spesso molto più grande di quello che possiamo immaginare.<BR> <BR> Lo studio di questi fenomeni coinvolge tutta l'analisi dei materiali.<BR> <BR> Per questo, prima di intraprendere uno studio serio sulla degradazione è indispendabile farsi un'idea di quello che è lo "stato dell'arte" dell'argomento specifico consultando la letteratura relativa.<BR> <BR> Ricordiamo che non sempre si vuole evitare una 'degradazione': ad esempio nel caso della biocompatibilità la degradazione è un fenomeno voluto e che deve essere controllato.<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <U><B>Degradazione termica in atmosfera inerte</B></U> </FONT> <BR> <BR> In molti casi, soprattutto durante la lavorazione dei polimeri in macchine chiuse (es. estrusori), gli eventuali fenomeni di degradazione sono di tipo puramente termico; il modo di studarli più direttamente è quindi effettuare prove in assenza di ossigeno.<BR> <BR> <I><B>Strumentazione</B></I> <BR> <BR> Ci basta una buona stufa da vuoto ed eventualmente un po' di azoto.<BR> <BR> <I><B>Misura</B></I> <BR> <BR> Centratevi sulle temperature di interesse e lavorateci intorno. Ad esempio se processate a 230 °C, fate prove a 210°C, 230°C, 250 °C e 270 °C.<BR> Per i tempi di degradazione vale lo stesso discorso.<BR> <BR> L'analisi di ciò che succede va fatta con le tecniche appropriate, spesso le prove meccaniche e l'infrarosso, oltre all'analisi visiva, sono buoni strumenti.<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <U><B>Degradazione termica in aria-ossigeno</B></U> </FONT> <BR> <BR> Dopo aver capito cosa succede in assenza di ossigen, provate a degradare in aria/ossigeno.<BR> Le regole sono le stesse di prima, ma vi accorgerete delle differenze.<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <U><B>Degradazione termica in ambienti particolari</B></U> </FONT> <BR> <BR> Se i vostri materiali verranno a contatto, durante la trasformazione o l'uso, con sostazne particolare (ad esempio pensate ai cavi che trasportano la benzina nella macchina), le vostre prove dovranno tenerne conto e dovrete adottare particolari accorgimenti per le vostre prove di invecchiamento.<BR> <BR> <I><B>Strumentazione</B></I> <BR> <BR> In questo caso deve essere specifica e va studiata di volta in volta.<BR> Esistono però alcune normative di riferimento da prendere come base.<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <U><B>Prove tecnologiche specifiche di degradazione</B></U> </FONT> <BR> <BR> Se volete verificare cosa succede al vostro materiale se rimane un po' troppo nei forni di essicamento o nell'estrusore o nella pressa, etc., provate.<BR> <BR> Tuttavia, a causa dell'elevato numero di variabili, queste prove devono essere accompagnate ad un'analisi più seria e fondamentale.<BR> I risultati vanno quindi presi con le pinze.<BR> <BR> <BR> <FONT SIZE=4> <U><B>Test accelerati: luce e intemperie, invecchiamento naturale</B></U> </FONT> <BR> <BR> Passiamo ora all'esposizione all'esterno.<BR> Tali prove servono a comparare il comprtamento di diversi materiali SOLO se questi sono esposti tutti insieme, nello steso posto e nello stesso momento.<BR> Diffidate di confronti fatti in luoghi diversi e in tempi diversi.<BR> <BR> <I><B>Strumentazione</B></I> <BR> <BR> Sembra banale, ma saper preparare ed esporre correttamente dei provini per invecchiamento naturale non è così semplice e richiede una notevole attenzione e cura.<BR> RICORDATEVI che basta una piccola scorrettezza per buttare all'aria invecchiamenti che durano anche anni.<BR> <BR> <I><B>Misure</B></I> <BR> <BR> A volte non si fa' altro che osservare i campioni nel tempo.<BR> A volte invece sono necessarie prove chimiche o meccaniche sui campioni degradati.<BR> Preferite sempre le prove non distruttive.<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <U><B>Test accelerati: Xenotest</B></U> </FONT> <BR> <BR> Veniamo ora ai test 'accelerati'.<BR> Tutti dicono che non riproducono l'esterno. E' vero.<BR> Però anche l'esterno non è mai riproducibile!<BR> Quindi non scartatele per questo motivo.<BR> <BR> Rispetto all'esterno hanno il vantaggio, oltre che della maggiore velocità, che, osservando la MASSIMA CURA nella strumentazione, potete azzardarvi a fare anche paragoni tra campioni esposti in macchine diverse e in tempi diversi.<BR> Preferite comunque confronti tra campioni esposti insieme.<BR> <BR> <I><B>Strumentazione</B></I> <BR> <BR> Gli Xenotest hanno preso piede, poichè la loro emissione spettrale dovrebbe essere la più simile a quella del sole.<BR> Per avere prove affidabili dovrete controllare e mantenere la strumentazione in perfetta efficienza.<BR> Non lesinate sui ricambi e sul controllo della strumentazione.<BR> Una buona strumentazione costa (anche oltre 100000 euro), e richiede un costo di manutenzione elevato, sia come utenze che come ricambi.<BR> <BR> <I><B>Misure</B></I> <BR> <BR> Anche qui il controllo è spesso visivo.<BR> Ovviamente potete usare tutte le tecniche analitiche che volete per analizzare le cinetiche di degradazione, ma preferite i controlli non distruttivi.<BR> <BR> <FONT SIZE=4> <U><B>Test accelerati: UV-test</B></U> </FONT> <BR> <BR> <I><B>Strumentazione</B></I> <BR> <BR> Esistono lampade diverse da quelle allo Xenon.<BR> Le lampade UV (UV-a o UV-b) emettono parecchia energia nella zona più degradante della radiazione solare e per questo accelerano notevolemente la degradazione.<BR> Non sempre riproducono fedelmente ciò che può avvenire all'esterno, ma, se usate per comparare diversi materiali, possono fornire le indicazioni volute.<BR> Oltretutto costano relativamente poco e la manutenzione richiesta è minima.<BR> <BR> <I><B>Misure</B></I> <BR> <BR> Stessi discorsi come per le altre esposizioni.<BR> Controllate sempre il tipo di lampade, prima di fare paragoni.<BR> Preferite un monitoraggio continuo dell'irraggiamento.<BR> <BR> <FONT COLOR="#dc143c"> <CENTER>PER ALTRE INFORMAZIONI SPEDISCI UN MAIL A: <A HREF="mailto:info@rdlab.it">INFO@rdlab.IT</A></CENTER> </FONT> </body>